L’Anmig di Firenze per la Giornata Internazionale per la Pace

25 Settembre 2023, pubblicato da

Pubblichiamo l’intervento del Presidente della Sezione ANMIG di Firenze, dott. Alessandro Sardelli, tenuto in occasione della Giornata internazionale per la Pace, lo scorso 21 settembre 2023, presso il Liceo Machiavelli di Firenze, come evento del Festival delle Associazioni Culturali Fiorentine.

FESTIVAL ASSOCIAZIONI CULTURALI FIORENTINE

GIORNATA INTERNAZIONALE PER LA PACE

Liceo Niccolò Machiavelli – Palazzo Frescobaldi

21 settembre 2023

 L’Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi di Guerra: da unione fra vittime a presenza critica e memoria tragica del Novecento

di Alessandro Sardelli

Sono particolarmente lieto di essere qui con voi, oggi, a celebrare la Giornata internazionale della Pace in qualità di Presidente della Sezione di Firenze dell’Associazione Nazionale Mutilati ed Invalidi di Guerra.

  1. COSA È L’ANMIG

L’associazione che qui rappresento è stata fondata oltre cento anni fa, nell’aprile del 1917, durante la Prima guerra mondiale dai soldati vittime di invalidità o mutilazioni subite in quel terribile conflitto. Da quel momento lo scopo dell’Associazione è stato quello di fare ottenere ai combattenti il riconoscimento delle invalidità e mutilazioni avute a causa della guerra. Una battaglia civile che l’ANMIG continuò a fare anche dopo la Seconda Guerra Mondiale per far rispettare la dignità dei combattenti disabili ed ottenere il diritto al risarcimento del danno subito, all’assistenza sanitaria e, soprattutto, a reintegrarli nella società civile. In questo lungo tragitto temporale che attraversa tutto il Novecento, l’ANMIG ha sempre messo al centro del proprio operato l’impegno per la pace come valore universale e come condizione imprescindibile per avere una società senza più guerre.

Con quest’impegno, altamente morale, l’ANMIG è stata per tutto il Novecento una presenza critica rispetto alla classe politica dominante – anche se con delle contraddizioni, che qui non ho il tempo di analizzare -, manifestando in più occasioni l’idea che non ci può essere la pace là dove non c’è una rinascita fondata sulla buona amministrazione e gestita da un buon governo.

  1. REALIZZARE LA PACE

Infatti, sappiamo bene che non è sufficiente invocare la pace per ottenerla. Non serve a niente esprimere i migliori propositi per ottenere la pace, se non siamo in grado di: esprimere un contesto sociale, politico ed economico in grado di garantire la pace. Questo assioma ne produce un altro, analogo e contrario: se in un dato contesto sociale prevarrà la cattiva politica, saranno prodotti cattivi governi e situazioni che potranno portare alla guerra.

Probabilmente state pensando che questa sia la scoperta dell’acqua calda! Ebbene sì! È l’indicazione di una cosa molto semplice da capire, ma anche molto difficile da realizzare. Ed è una verità conosciuta fin dal passato, fin nella civiltà comunale del Trecento. Ad esempio, è una consapevolezza che è stata rappresentata da un pittore, Ambrogio Lorenzetti, che fra il 1338 e il 1339 dipinge a Siena “L’allegoria degli effetti del Buono e del Cattivo Governo”. Si tratta di un grande ciclo di affreschi riportati sulle pareti di una sala del Palazzo Pubblico di Siena, che era il palazzo del Governo della città. È uno dei cicli di affreschi civici più noti e importanti del Medioevo. Ed è anche uno dei primi tentativi di “manifesto didascalico e politico” in senso moderno. Nella rappresentazione di Lorenzetti, il Cattivo Governo, produce disordine, miseria, rovine. Mentre il Buon Governo, crea commerci prosperi, campagne ben coltivate, artigiani operosi perché è amministrato dalla Sapienza e dalla Giustizia che hanno come alleata la Pace, rappresentata da una signora bionda seduta su delle armi.

In altre parole, fuori di metafora, la realizzazione del buon governo produce la ricerca del bene comune; cioè, crea la condizione per cui in una comunità l’interesse privato è subordinato a quello pubblico. Questa condizione rappresenta uno dei più grandi temi di riflessione politica di tutti i tempi, che attraversa, come un filo rosso, la storia dei secoli e arriva fino al Novecento. E, poi, fino a noi! Un concetto talmente attuale che è stato recentemente espresso dal Presidente Sergio Mattarella in un intervento fatto lo scoro 15 settembre alla assemblea annuale di Confindustria. Fra le altre cose Mattarella ha detto: “Un’economia in salute contribuisce al bene del sistema democratico e della libertà, alla coesione della nostra comunità”.

E in effetti il concetto di “economia in salute” è molto vicino a quello di “buon governo”.

  1. L’ANMIG COME COSCIENZA CRITICA

I fondatori dell’ANMIG lo avevano molto chiaro questo concetto e dopo lunghi anni di sofferenze erano coscienti che il disastro della guerra dipendeva dai cattivi governi che l’avevano voluta. E sapevano che per avere la pace bisognava ricominciare con fatica a costruire governi nuovi e sani. Tanto è vero che la neonata Associazione delineò in un manifesto, pubblicato nel novembre 1918, gli obiettivi per una società nuova, senza più guerre.

Si trattava di un manifesto programmatico, forse datato nella sua esposizione retorica, ma ancora estremamente attuale nel contenuto. Tanto è vero che lo tengo appeso a una parete della nostra associazione, in Piazza Brunelleschi dove vi invito a venire a trovarci.

Si tratta dello storico Manifesto dell’ANMIG, perché pubblicato dopo la fine della Prima guerra mondiale, dove c’è una condanna della “barbarie della guerra” e un incitamento al popolo italiano per ricominciare a vivere in pace; ma, con un ammonimento alla classe politica nazionale di quel tempo, scrivendo nel Manifesto che “tutti i vecchi partiti sono morti” e, poi, proponendo di rinnovare la Nazione con due grandi riforme: la riforma della giustizia e la riforma della scuola. (Giustizia e Sapienza, erano le figure metaforiche nell’affresco del Buon Governo di Lorenzetti!)

Avere indicato la crisi dei partiti e il bisogno di riforme fa subito pensare alla situazione italiana attuale dove la classe dirigente deve ancora affrontare questi temi; sui quali si sta accapigliano da almeno trent’anni!

È un po’ singolare che sia ancora attuale un rilievo critico fatto oltre un secolo fa dai mutilati e invalidi di guerra. Ed è strano rendersi conto che la loro osservazione sia ancora attuale, non perché quegli ex combattenti fossero particolarmente illuminati, ma evidentemente perché è il Paese ad essere bloccato dagli stessi problemi da troppo tempo.

Con questa consapevolezza critica i mutilati e gli invalidi di guerra italiani attraverseranno tutto il Novecento – drammaticamente segnato dall’autoritarismo espresso dalle dittature del fascismo, del nazismo e del comunismo -; durante il quale seguiranno, tra mille contraddizioni, l’ideologia nazionalista negli anni del fascismo per tornare, poi, ad essere una presenza autonoma dalla politica solo dopo la Seconda guerra mondiale, quando nel secondo dopoguerra torneranno ad organizzarsi in un’associazione democratica e parteciperanno attivamente alla ricostruzione dell’Italia repubblicana. In questi anni di speranza per un futuro migliore il ricordo della guerra diventava il compagno di ogni mutilato ed invalido che trovava nell’aggregazione associativa la forza e il coraggio per andare avanti.

L’associazione diventa il luogo dove ci si poteva incontrare senza avere paura di non essere creduti a raccontare le sofferenze subite.

Questo fenomeno di “oblio per senso di colpa” – la colpa di essere sopravvissuti -, accompagnerà nel dopoguerra molti mutilati ed invalidi di guerra; specialmente coloro che erano stati deportati nei lager nazisti per avere rifiutato di combattere a fianco dei tedeschi e per questo considerati “internati militari”, per non dare loro nemmeno le minime tutele di sussistenza che avrebbero avuto se fossero stati considerati “prigionieri di guerra”. Molti di loro troveranno il coraggio di raccontare quello che gli era accaduto solo 30-40 anni dopo i fatti che avevano vissuto in guerra. In pratica quando oramai erano diventati vecchi. Facendo riemergere, dopo tanti anni, storie che fino a quel momento avevano fatto parte dei ricordi di ciascuno di loro ed erano rimasti confinati nei fascicoli personali che ciascun combattente aveva nell’archivio dell’Associazione.

  1. GLI ARCHIVI STORICI DELL’ANMIG

Oggi, questi fascicoli di documenti personali fanno parte degli archivi storici delle sezioni territoriali dell’ANMIG. La settimana scorsa, il 12 settembre, abbiamo presentato con un’apertura straordinaria al pubblico l’Archivio storico della Sezione ANMIG di Firenze, che conserva i fascicoli personali di oltre 5.600 ex militari del territorio fiorentino, protagonisti e vittime delle guerre del Novecento.

Si tratta di una fonte di notizie imprescindibile per conoscere le conseguenze prodotte dalla guerra. Ed è un patrimonio di informazioni personali, familiari, intime che va valorizzato come memoria collettiva perché rappresenta, oggi, una testimonianza documentale, oltre ad essere una memoria personale che questi veterani di guerra, oramai per motivi anagrafici non più fra noi, ci hanno lasciato in eredità.

Sono infatti pochissimi i mutilati ed invalidi della Seconda guerra mondiale che sono ancora in vita.

Per questo motivo l’ANMIG che oggi qui rappresento non è più formata da ex combattenti, ma dai loro figli, nipoti e pronipoti, che hanno deciso di dare continuità all’Associazione in ricordo dei loro padri e nonni, impegnandosi a salvaguardare i principi umanitari fondanti del loro sodalizio, nato dall’idea del “mai più guerra”, nella speranza che la “Prima” guerra avrebbe dovuto essere anche l’ultima delle guerre.

Invece sappiamo che non è andata così! Che dopo la Prima c’è stata la Seconda guerra mondiale, e che oggi ci troviamo a subire una Terza guerra mondiale latente, “a pezzettini” come l’ha definita Papa Francesco.

Dunque, l’attività dell’Associazione che oggi è portata avanti dai discendenti degli ex combattenti si trova ad avere un ruolo ancora attuale ed a gestire un difficile passaggio generazionale. Difficile perché via, via che scompaiono i protagonisti di quel periodo storico è sempre più difficile mantenere vivo il ricordo di quello che è successo; capire veramente che cosa sia stata la guerra. E anche se oggi, tutti i giorni vediamo le immagini di guerra in televisione, quella che vediamo non è la guerra che è entrata nelle nostre case, nelle nostre famiglie. Sembra una guerra lontana, che non ci riguarda. Ci manca la consapevolezza diretta di che cosa è la guerra, che solo i protagonisti di quella tragica esperienza potevano avere e potevano raccontare.

Si trattava di un racconto che i mutilati e gli invalidi di guerra sono andati poi a fare nelle scuole, quando erano oramai anziani, per raccontare agli studenti che cosa era stata la guerra che avevano dovuto fare da giovani.

Questo racconto fatto da chi allora era presente, purtroppo oggi ci viene a mancare. Gli ex combattenti sono quasi tutti deceduti. Tanto è vero che le iniziative che oggi andiamo a fare nelle scuole noi, figli e nipoti che abbiamo raccolto il loro testimone, non sono la stessa cosa e non fanno lo stesso effetto, perché non siamo in grado di rappresentare un’esperienza realmente vissuta.

 IL CONCORSO PIETRE DELLA MEMORIA

L’ANMIG cerca di essere comunque presente nelle scuole con un concorso nazionale, che si ripete ad ogni anno scolastico oramai da una decina d’anni, dedicato a premiare quegli studenti che diventano “Esploratori della Memoria” facendo ricerche finalizzate a un censimento dei monumenti, dei memoriali, ma anche dei racconti fatti per ricordare le vicende della Prima, della Seconda guerra mondiale e della guerra di Liberazione. Se interessa posso dare informazioni più dettagliate per partecipare al concorso Pietre della Memoria. Ogni monumento o memoriale racchiude una storia da fare conoscere. Ma sono specialmente i racconti di quello che è accaduto che sono destinati a scomparire con la scomparsa dei protagonisti di quegli eventi.

  1. CURARE LA MEMORIA DEI PROTAGONISTI

È quindi importante raccogliere questi racconti per farli conoscere come testimonianze di chi ha vissuto la guerra. Ad esempio quando io vado a parlare nelle scuole con gli studenti a nome dell’ANPI, altra associazione di ex combattenti, come prima faceva mio padre con i suoi compagni di lotta partigiana, per far sapere che cosa è stato il fascismo e che cosa è stata la Resistenza, dovendo parlare di periodi storici e fatti che non ho vissuto direttamente, vado a raccontare le storie personali, anche familiari, di mio padre e quei combattenti che ho conosciuto facendo vedere agli studenti filmati su fatti accaduti, ma anche ascoltare le interviste che alcuni di loro ci hanno lasciato. Un materiale che poi metto a disposizione degli insegnanti.

Vorrei quindi terminare questo intervento con una di queste interviste. Si tratta di una intervista fatta un partigiano che si chiamava Ultimio Pagani e che aveva fatto parte di una formazione di partigiani che nell’inverno del 1944 erano riusciti a liberare una area di territorio sugli appennini della provincia di Modena. Questo territorio italiano liberato dalle truppe germaniche fu chiamato “Libera Repubblica di Mentefiorino”. Fu la prima zona dell’Italia ad essere liberata dall’occupazione nazista. Di questa formazione faceva parte anche un partigiano amico di mio padre, Fernando Borghesi, più anziano di mio padre, antifascista della prima ora, aveva fatto molti anni di carcere perché antifascista; poi era stato mandato dal Partito Comunista nel gennaio del 1944 a dirigere sulle montagne pistoiesi la Brigata Bozzi che per sfuggire a un rastrellamento sconfinò in Emilia-Romagna dove con altre formazioni di partigiani riuscirono a liberare una zona degli appennini in provincia di Modena.

Si tratta di una lunga intervista inserita in un video dedicato a raccontare l’esperienza della Repubblica di Montefiorino. In questa intervista Ultimio Pagani dice diverse cose, fra cui:

“…quando partimmo per andare in montagna eravamo un quattro…poi siamo diventati cento…”

“…ai fascisti e ai nazisti più di tutto gli dava fastidio il nome Repubblica che avevamo scelto perché indicava la nostra voglia di libertà…”

“…non volevamo fare la guerra, ma divertirci, eppure abbiamo dovuto scegliere di fare la guerra…”

Ultimio Pagani conclude poi con queste parole che vorrei ascoltaste direttamente dalla sua voce:

“…la guerra è una cosa brutta…brutta! A noi è toccato farla perché ci hanno costretto… ci hanno costretto a fare il passo più lungo della nostra gamba… Ma, ricordate che la guerra la fanno sempre i poveri disgraziati! Ricordatevi sempre di ragionare nelle cose… un giorno, dieci giorni… un mese… discutiamo un anno se serve! Ma non facciamo più guerre!”.

Scarica qui l’intervento: Festival ACF_Alessandro Sardelli-Intervento 21 settembre 2023 (1)