Testimonianza di un chirurgo di Guerra
Recentemente un mio parente ha ritrovato, tra le vecchie carte, un dattiloscritto di mio Nonno, Eutimio Guasoni, Ufficiale della Croce Rossa nella Prima Guerra Mondiale. E’ un libro di memorie della sua lunghissima vita, che comprende la sua coinvolgente esperienza di chirurgo volontario.
Il ritrovamento di questo testo mi ha aperto un fiume di ricordi, in particolare quando io, appena undicenne, l’ho aiutato a scrivere a macchina tante pagine
Mio Nonno, infatti, pur non avendo obblighi di leva, Chirurgo Direttore dell’ Ospedale di Matelica, decise di arruolarsi; ma vorrei lasciare parlare le sue parole, che descrivono l’abnegazione di un affermato chirurgo che preferì lasciare la comoda posizione di primario ospedaliero per avventurarsi, con un’ambulanza, verso le prime linee: “…. Essendo oramai evidente che anche noi avremmo preso parte al conflitto ed essendo io un convinto interventista per completare l’unità d’ Italia con la sospirata annessione di Trento e di Trieste, mi rivolsi al Comitato Regionale di Bologna della CRI, al quale ero iscritto fin dal 1911, in occasione della guerra Turco-Montenegrina, perché avevo intenzione di prestare servizio nell’ambulanza della CRI diretta dal prof Nigrisoli. Feci pertanto domanda di essere arruolato il più presto possibile in una Unità avanzata se fosse stata dichiarata la guerra all’ Austria”.
Venne, infatti, inserito nel personale medico dell’ Ambulanza da Montagna N.40, destinata a partire per il fronte, e che aveva sede in Lugo di Romagna, composta quasi tutta da romagnoli, e che partì il 26 Maggio 1915 “sopra una tradotta che la portò a sera, a Cividale del Friuli”, dove, avendone avuto il comando e non ricevendo istruzioni ma sentendosi rispondere “arrangiatevi”, si era presentato al Colonnello …. “non col saluto , militare –dato che, non avendo mai fatto il militare, non vi ero avvezzo- ma togliendo borghesemente il berretto ! Questo gesto provocò un sorriso di compatimento del Colonnello e procurò a me la condanna al pagamento di alcune bottiglie di vino ai Colleghi, per punizione !”
A Dresença, “ultima località abitata alle falde del Monte Nero”, dove si stabilì l’ambulanza su ordine del Gen. Etna, un locale fu adattato “a camera d’operazioni”, perché, pur avendo l’ ambulanza solo “il compito di fare medicature a carattere di pronto soccorso… vista la vicinanza con il fronte venivano feriti che andavano operati immediatamente, essendo troppo lontani gli ospedali. Di questa verità si persuasero presto le Autorità Superiori creando le cosidette Ambulanze Chirurgiche d’ Armata, che prestarono servizio nelle immediate vicinanze del fronte seguendolo continuamente man mano si spostasse”.
Così, ad esempio, mio Nonno operò il Caporale Vittorio Zanardi, “che si sforzava di voltarsi su un fianco, senza riuscirvi; dalla testa scompostamente fasciata, usciva sangue raggrumato da una ferita da scheggia di granata che aveva affondato sulla massa celebrale metà della scatola cranica; presentava, quindi, evidenti sintomi di compressione del cervello con paralisi della metà del corpo da esso innervata. Al Generale Gatti, che aveva sostituito il Generale Etna nel comando dei Gruppi Alpini A e B che veniva spesso a far visita all’ambulanza interessandosene vivamente, curioso di sapere cosa intendessi fare in quel pietosissimo caso, risposi che l’avrei operato immediatamente con l’intendimento di sollevare la parte di cranio premente sul cervello e di fare un accurata emotasi allacciando tutti i vasi sanguigni interessati. Sembrò sorpreso della mia determinazione che giudicava audacia, promettendosi di ritornare per seguire l’esito del mio intervento. Tolta la compressione del cervello, mercé sollevamento dell’osso affondato, fino a portarlo alla posizione normale e allacciati i numerosi vasi sanguigni beanti, si notò subito la iniziale scomparsa dell’emiplegia col ritorno di piccoli movimenti prima impossibili e con manifesto miglioramento delle condizioni generali del ferito, che continuò a migliorare fino a guarigione completa… Tornò a casa a Migliarino (Ferrara), si sposò, ebbe numerosi figli ai quali lasciò detto di non dimenticare mai il suo salvatore; dopo la sua morte…. I suoi figli non hanno mai tralasciato di inviarmi deferenti auguri in occasioni delle feste tradizionali”.
Il Gen. Etna, incontrando mio Nonno a Viareggio nel 1924 volle consegnargli un documento proprio in relazione all’ambulanza 40 e della sua attività a Drezença: “dichiaro che durante la nostra grande guerra e precisamente nei mesi di Giugno e Luglio del 1915 il Professore Dottore Eutimio Guasoni allora Tenente Medico della CroceRossa fu con un’ ambulanza da montagna della Croce Rossa stessa, messa a mia disposizione, a Drezença (M.Nero). M’è caro di dichiarare inoltre che tutto il personale dell’ambulanza fece in modo ammirevole il suo dovere, guidato e comandato, com’era da ottimi Ufficiali come il Tenente Guasoni. In piena e sicura coscienza posso affermare che il predetto Professor Guasoni si distinse per capacità professionale, per attività e zelo ammirevoli, nell’ adempimento della sua missione e per meglio rendere il mio pensiero, accennerò al fatto che egli un giorno, durante un aspro e cruento combattimento sostenuto dai miei Alpini, venne da me ad implorare ed ottenne come un premio, di recarsi con una squadra di militi della Croce Rossa, a soccorrere e raccogliere feriti sulla linea di combattimento, dando così encomiabile esempio di buona volontà, di ottimi sentimenti umanitari di apprezzabile cameratismo con le truppe combattenti e di coraggio. Viareggio 14 Gennaio !924. Il Generale di Corpo d’ Armata già C.te i Gruppi Alpini A e B D.Etna”
Mio Nonno, nelle sue memorie, riportando questo documento, così aveva scritto: “allo scopo di ridimensionare il significato e il valore dell’attestato rilasciato dal Generale Etna alla nostra Ambulanza per l’atto di apparente coraggio dimostrato nel soccorrere i feriti durante la battaglia, devo dichiarare che tale determinazione non era dovuta a vero coraggio ed a disprezzo del pericolo, cui saremmo andati incontro se realmente avessimo raggiunto l’obbiettivo. La verità è che eravamo persuasi che il bracciale emblema della C.R. sarebbe stato a nostro giudizio, usbergo sicuro contro le offese nemiche ! Achille aveva un solo punto vulnerabile, il tallone, noi eravamo tutti e da per tutto invulnerabile… La nostra audacia era quindi nient’altro che assoluta incoscienza, incredibile ignoranza del termine “guerra” per noi tutti, colti ed incolti, non ancora vecchi, ma non tanto infantili da poterne ignorare il vero significato…
Tutto ciò del resto, era in carattere con la nostra impazienza di partire per il fronte per il vivo timore di non giungere a tempo a meritarci una parte, sia pur piccola di gloria per la sicura vicinissima vittoria e col senso di umiliazione e di vergogna che avremmo provato se non avessimo prestato servizio in zona d’operazioni e magari in prima linea; e col gesto poco meno che omerico, compiuto, col buttarci a baciare la terra appena giunti sul vecchio confine riconoscibile dal palo che era stato abbattuto dai nostri durante l avanzata in suolo austriaco”….. “Può darsi che qualche scettico sorrida al ricordo di questo rito compiuto con profonda commozione, ma in quel momento, esso era la manifestazione spontanea ed irrefrenabile di tutti i nostri cuori senza distinzione di idee politiche o comunque tali che potessero dividerli”.
Era partito per il fronte il 15 maggio 1915, ha prestato servizio per 36 mesi in zona di guerra e per altri 9 in zona territoriale e nonostante avesse conseguito la libera docenza a pieni voti durante la guerra, rientrando a Modena in un giorno, con un viaggio dapprima a bordo di mulo, poi da Clodig a Udine su di un camion carico di pelli bovine, con una tradotta fino a Padova, poi con un treno omnibus fino a Bologna, cercò di non far sapere del suo titolo per non essere promosso e quindi allontanato dal fronte….
Isabella M. Stoppani