Montagano e Gli Eroi di Unterlüss

24 Giugno 2016, pubblicato da

“Il lungo e assordante silenzio che ha oscurato la storia dei 650 mila Internati Militari Italiani, “traditi, disprezzati, dimenticati” come ebbe a definirli icasticamente Schreiber, è oggi, finalmente, rotto da molte e diverse voci: – quelle di stimati storici, italiani e tedeschi, e di valenti ricercatori di sociologia, come i cari amici che siedono al mio fianco; – quelle delle testimonianze dirette da parte dei protagonisti, nonché le molte iniziative prese per onorare il sacrificio degli IMI, tra cui quella odierna promossa dall’ANRP, che ha voluto dedicare questo importante momento di riflessione proprio a loro; a quei militari cioè che, dopo l’8 settembre, catturati con la forza o con l’inganno, si sono rifiutati di collaborare col nazifascismo e hanno scelto volontariamente e personalmente di rimanere nei lager (di internamento, e a volte anche di sterminio), in condizioni durissime”.

Queste le parole che Michele Montagano, forse con sollievo, ha potuto pronunciare lo scorso venerdì 17 giugno nella Sala del Mappamondo della Camera dei deputati in occasione della presentazione del volume “Gli Eroi di Unterlüss. La storia dei 44 ufficiali IMI che sfidarono i nazisti” di Andrea Parodi.

I molti, troppi, anni passati a far risuonare dentro di sè una memoria non condivisa, a non cedere alla stanchezza nel portare una storia che non voleva esser riconosciuta, hanno visto in questi ultimi tempi una fine, un punto fermo posto con forza a significare che il sacrificio sopportato ora ha preso il proprio posto nella storia del nostro Paese.

Il libro di Parodi mette l’argomento Internati Militari Italiani sotto una nuova luce.

Questi i fatti dell’inverno del 1944: “Nel luglio del ’44 la Germania aveva estremo bisogno di mano d’opera per l’industria, le miniere, l’agricoltura e lo sgombero delle macerie dei bombardamenti Alleati. Hitler e Mussolini sottoscrivono un accordo che in Italia venne propagandato come la “liberazione degli internati”, ma che alla Germania consentiva la precettazione per il lavoro coatto e obbligatorio anche per gli ufficiali.
Nell’ultimo inverno di prigionia, 44 ufficiali scrivono una pagina poco nota della Resistenza italiana attiva nel cuore della Germania nazista. Fanno parte di un gruppo proveniente dall’Oflager di Witzendorf, destinato al lavoro forzato nell’aeroporto di Dedelsdorf. In blocco si rifiutano di lavorare e operano un vero e proprio sabotaggio. Dopo alcuni giorni, giungono al Campo ufficiali della Gestapo e un reparto di SS che provvedono a prelevare a caso dal gruppo dei 214, per una sommaria decimazione, 21 ufficiali da punire severamente per aver violato le leggi del Führer, e l’interprete, un italiano delle SS, dice:
“Questi non li rivedrete mai più”.
Allora, quelli che sono decisi a resistere a qualunque pressione, escono dal gruppo e si offrono di sostituire volontariamente i decimati, determinati anche a subire la fucilazione, perché, in qualità di ufficiali prigionieri di guerra non intendono eseguire alcuna prestazione di lavoro in favore della potenza detentrice. Separati dai compagni, vengono rinchiusi nel cortile del carcere dove, per ben nove ore, sotto la pioggia e al freddo invernale, attendono il momento della punizione, con il pensiero rivolto alle famiglie e lo spirito colmo di memorie risorgimentali.
“Mentre eravamo in attesa della nostra sorte le reazioni erano molto diverse; si pensava alla famiglia, si pensava al Paese… alcuni pensavano di fare una fine eroica… tra questi c’ero anch’io, naturalmente, che, ricordando la lezione del Risorgimento, pensavo ‘se debbo morire, morirò da eroe’ e volevo poter scrivere col sangue sul petto; ‘W l’Italia’… Adesso c’è da sorridere, ma in quel momento si sentiva veramente e si viveva veramente l’atmosfera dei martiri di Belfiore”.
Solo sul far della sera, apprendiamo che la condanna è stata commutata nel carcere a vita, da scontare nel campo di “rieducazione al lavoro”, come eufemisticamente viene chiamato lo Straflager KZ di Unterlüss. Davanti alla baracca ci attende il Lagerführer con accanto un maresciallo delle SS armato di un grosso bastone e due aguzzini con in mano tubi di gomma.
Da quel momento comincia per noi quell’inferno che rare volte, come oggi,  ho avuto la forza di raccontare” dichiara Michele Montagano, l’ultimo dei sopravvissuti tra gli eroi di Unterlüss, Presidente Onorari dell’Associazione Nazionale Reduci dalla Prigionia e Vicepresidente nazionale dell’Anmig.

Toccante e marziale insieme il racconto (qui in versione integrale) con cui Montagano ha stretto i presenti, tra i quali i familiari dei compagni di prigionia, in un abbraccio fraterno.

Presenti alla presentazione del libro, oltre all’autore, anche l’0n. Laura Coccia, dottoressa di ricerca in storia contemporanea e il dott. Lauro Rossi.

Luciano Zani, Professore ordinario di Storia Contemporanea della facoltà di Sociologia de La Sapienza di Roma, ha parlato di un molteplice tradimento perpetrato nei confronti degli IMI: traditi dai tedeschi, traditi dalle due Italie (fascista e resistente) dopo l’otto settebre, e ancora traditi perchè furono gli ultimi a tornare dopo la fine della guerra ed infine traditi nel dopoguerra perchè consideretati loro stessi traditori per un cono d’ombra che si venne a formare nella storia. Secondo gli eredi della Resistenza serano da ripudiare in quanto Esercito Regio e per i post repubblichini traditori tout court.

Guardando al NO opposto alla repubblica di Salò ed al NO al lavoro pronunciati da Montagano ed i suoi compagni, Zani dimostra come l’8 settembre la Patria non sia morta per intero. C’è stato chi ha saputo distinguere tra fascismo e Patria.

La storia dei 44 di Unterlüss fa parte della storia della Resistenza italiana perchè resistenza è opporre con fermezza la propria posizione al nemico, ha aggiunto il prof. Zani.

L’incontro ha poi visto gli interventi dell’autore, del giornalista Aldo Cazzullo che si è lungamente soffermato sul problema dell’ignoranza e dell’indifferenza dei giovani e di alcuni familiari degli eroi di Unterlüss.